Che una corretta e sana nutrizione influisca positivamente sull’aspetto della cute è una certezza, così ovvia che sembra quasi superfluo ribadirla.
Negli ultimi anni si sono però ulteriormente approfondite le conoscenze della struttura e dei meccanismi funzionali dell’apparato gastrointestinale, e in particolare sono emerse nuove acquisizioni sull’ intestino, che ha un suo corredo di batteri (miliardi: più batteri che cellule) ed è un corredo personalizzato, ogni individuo ha il suo: si parla di microbioma umano, che si forma già durante la gravidanza e nei primi 2-3 giorni di vita, e che permarrà per sempre.
E’ stata dimostrata la correlazione tra il microbioma e il sistema immunitario, e come questo fattore possa incidere anche nel trattamento e nella prognosi di alcuni tumori (studi recenti sul melanoma).
Tornando comunque all’esame della cute, osservandola con un po’ di esperienza e di attenzione noi possiamo dedurre anche le abitudini alimentari della persona, soprattutto se queste abitudini sono deviate, e prolungate nel tempo.
Già il semplice colore della pelle può darci un’idea:
ad esempio, l’aspetto congestizio, di pastosità rubizza, del bevitore (questo almeno in fase iniziale, florida; nel bevitore inveterato, in fase avanzata, la cute può presentarsi ingrigita e rinsecchita);
il pallore etereo, trasparente, quasi cilestrino di chi è anemico, malnutrito
Possiamo quindi cogliere delle manifestazioni cutanee che sono espressione di una alterazione quantitativa: da sovrappiù, o da carenza.
Il quadro da eccesso di alimentazione è appannaggio delle nostre zone e dei nostri tempi: si mangia troppo, e cibi troppo ricchi. E la cosiddetta “sindrome da frigorifero pieno” coinvolge praticamente tutti gli organi e apparati, cute compresa.
Le carenze nutrizionali possono coinvolgere l’apporto globale del cibo, c’è ancora buona parte dell’umanità che soffre la fame:
fino al marasma, con la cute che diventa sottile, pallida, fredda; i capelli e le unghie secchi e fragili;
o al kwashiorkor – tipicamente infantile – con addome globoso, edema del volto (facies lunare), con dermatosi eritemato-cianotica ad aspetto lucido, “verniciato”;

(Abbiamo spesso immagini strazianti di bambini malnutriti: questi almeno ci portano anche un messaggio di speranza, con il loro sorriso, nonostante tutto)
Anche l’anoressia e la bulimia – non rare nella nostra civiltà, quasi contraltare alla “sindrome da frigorifero pieno” – configurano un quadro di carenza dietetica globale, e si arriva quindi alla comparsa di cute secca, anelastica, sottile, desquamante; di alopecia diffusa; più rara, ma possibile in alcuni soggetti, una forma di seborrea paradossa, con squame cutanee ceree, cretacee, soprattutto ai margini del capillizio.
Nelle nostre zone, però, a parte quest’ultimo quadro dell’ anoressia, le carenze sono in genere selettive, legate ad alimentazioni non bilanciate, o ad un’epatopatia alcolica, più raramente ad un disturbo metabolico congenito o ereditario, o iatrogene per l’uso di pillole dimagranti, diuretici, lassativi…
I più noti disturbi cutanei da carenza sono legati all’apporto inadeguato delle varie vitamine, e la conferma diagnostica avviene principalmente con il criterio cosiddetto ex iuvantibus, si assiste cioè alla scomparsa dei sintomi somministrando la vitamina carente.
Un tipico quadro da carenza è la pellagra, che fortunatamente si può ormai dire storico, antico e superato: si trattava di una forma diffusa, così estesa tra Veneto, Friuli e Lombardia, circa un secolo fa, che pareva quasi avere andamento epidemico. Il nome è proprio descrittivo di come si presenta la malattia, con pelle “agra”, secca, di aspetto arrostito, ad esordio tipicamente acuto in primavera, perché la luce solare fa da fattore scatenante delle manifestazioni cutanee.
Era la sindrome delle 3 D : dermatite, diarrea, demenza;
ma divenne a 4 D per gli anglosassoni, in particolare per gli americani, che ci aggiunsero la D di “death”, dato il frequente riscontro di casi mortali.
In Spagna era stata identificata e descritta già nel 1735, con il nome di mal de la rosa, ma fu tra il XVIII e il XIX secolo che colpì gravemente le popolazioni rurali del nord Italia e in particolare quelle più povere del Veneto e del Friuli. Nel 1804 – 1805 il governo austriaco, che allora dominava quella parte di Italia, promosse una ricerca nelle province di Treviso e di Padova, la cui conclusione fu che non si trattava di malattia infettiva né ereditaria, ma dipendeva dall’alimentazione a base di granturco: era la malattia dei mangiatori di polenta, e non era tanto la polenta responsabile dei guai, bensì il fatto che non mangiassero praticamente altro.

Ma bisognava arrivare al 1937 perché lo statunitense Conrad Elvehiem dimostrasse che esisteva un fattore dietetico, la nicotinamide, capace di prevenire la pellagra, da cui appunto il nome di Vitamina PP (Pellagra Preventing).
Abbiamo quindi sfiorato l’argomento dell’impatto nutrizionale sull’espressione cutanea, con qualche cenno, a grandi linee, su alterazioni correlate al versante quantitativo, ma sarà certamente oggetto di nuovi richiami, settoriali e dedicati a patologie specifiche:
conoscere il linguaggio della pelle per capire l’interno, soprattutto quando qualcosa non va… E viceversa.
* intus et in cute, dentro e sulla cute : ricordiamo l’affermazione del poeta latino, anche se essa ci viene tramandata, da quasi duemila anni, più nella sua accezione morale che altro (conoscere qualcuno profondamente, nel corpo e nell’anima…)
* ego te intus et in cute novi” (Aulus Persius Flaccus, 34 – 62 d.C.)