“   Tu sorgi all’orizzonte dal cielo, o vivo Aton…riempiendo ogni terra della tua bellezza. Sei bello e grande… Tu dai agli uomini lingue diverse e caratteri diversi ed il colore della pelle cambia…”

Dall’Inno al Sole del Faraone Akhenaton, 1350 a.C., circa

Un sentimento universale degli umani è l’amore per il sole: non abbiamo neanche bisogno di pensarci, è qualcosa che ci appartiene, è connaturato a noi. Facciamo coincidere la luce del sole con il senso stesso della vita, e ne sentiamo la spinta positiva sia fisicamente che psicologicamente.

Ma ci sono condizioni, anche se non frequentissime, in cui la luce solare diventa un nemico mortale – o quasi –  per la pelle, e provoca delle dermatosi gravi: su base genetica si può verificare l’Albinismo, condizione in cui non c’è pigmento a livello dell’epidermide, dei peli, e dell’occhio (l’iride è trasparente!). E non è  solo un  dettaglio estetico, manca un importante fattore di protezione.

Un’altra condizione estrema è costituita dallo Xeroderma pigmentoso, malattia ereditaria caratterizzata da una sensibilità anormale alle radiazioni ultraviolette: fin dai primi mesi di vita, sulle zone scoperte, e specialmente al volto, si manifestano lesioni cutanee che evolvono in tumori.

E del resto, va ricordato che le radiazioni UV sono nell’elenco delle sostanze riconosciute come cancerogene, possono quindi rappresentare – ufficialmente – un pericolo.

Ma non è di questo che vorrei parlare qui, ora. Lasciamo stare la descrizione scientifica delle radiazioni elettromagnetiche che costituiscono la luce solare, grandi scoperte si sono susseguite e avvicendate per chiarirne gli aspetti e le caratteristiche, ognuno può documentarsi e approfondirle.

E vorrei anche abbandonare l’orientamento allarmistico che può essere emerso dalle mie osservazioni di qualche riga sopra: passiamo semplicemente a considerare l’impatto quotidiano che ognuno di noi ha con il sole, con tutte le variabili legate ai luoghi in cui viviamo, all’avvicendare del giorno e della notte, delle stagioni e dei momenti diversi della nostra vita.  In particolare, è proprio il periodo delle vacanze estive che pone la gran maggioranza delle persone, di ogni età, a confrontarsi con l’esposizione pressoché totale, e il più possibile prolungata, alla luce solare: fatto che in genere viene considerato una conquista, un premio, qualcosa da inseguire e da raggiungere come una meta agognata. E poi da rimpiangere, aspettando il successivo appuntamento.

Ricordo che tanti anni fa una agenzia turistica indisse un concorso a premi per il miglior slogan pubblicitario di promozione di una spiaggia veneta, e lo vinse una ragazza francese, che scrisse: “Vacances en Italie, onze mois de nostalgie” (Vacanze in Italia, undici mesi di nostalgia, che in francese suona meglio, con la rima, e che si riferiva proprio a un mese passato al mare).

Al di là del significato globale della vacanza, positiva perché interrompe ritmi di vita abituale, e coincide con il riposo, e ha il fascino della novità, dell’imprevedibile, degli incontri… una delle situazioni pressoché obbligate è appunto l’esposizione al sole

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sulla spiaggia, ovviamente

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ma anche in montagna

E lo scopo principale dell’esposizione solare è la conquista dell’abbronzatura.

Forse non succede più, come qualche anno fa, che ci si spalmi di vaselina e si usino gli specchi riflettenti per potenziare la luce del sole e assumere un bel colore arrostito, ma certamente una delle mete estetiche più inseguite e agognate è “la tintarella”, il colore della pelle che si moduli dal dorato al nocciola.

Il bianco non si usa più.

Finiti e sempre più lontani i tempi in cui la bellezza femminile era interpretata e proposta come un messaggio di rosea luminosità;

non più valido il cliché, che aveva imperato per secoli, secondo il quale  era bella e desiderabile – almeno nella nostra area occidentale –  soltanto la donna che presentasse un incarnato chiaro, pallido, evanescente. Per intendersi, come nei ritratti di Rosalba Carriera, la pittrice veneziana che aveva studiato una tecnica particolare per la preparazione di pigmenti che rendessero al meglio il colore di una pelle nivea, e che, nella prima metà del 1700, era richiesta come ritrattista presso le più ricche e nobili famiglie, e le corti dei regnanti, da Venezia a Parigi a Roma.

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Ritratto di Caterina Sagredo Barbarigo

La suggestione continuò a imperare per altri due secoli, ma iniziò a sgretolarsi ai primi del ‘900. A creare le prime crepe contribuì sicuramente anche la stilista Coco Chanel, quando suggerì una moda che invitava le donne a liberarsi di ombrellini, velette, calze e ingombranti prendisole, e nel 1923 si mostrò a Parigi con la pelle dorata dal sole dopo una vacanza sulla Costa Azzurra.

Era un messaggio che sapeva di libertà, e venne raccolto. Ci  mise un po’ ad affermarsi, ma intorno agli anni ’50 divenne universale, e l’arrivo del bikini come costume da bagno completò l’opera.

I nuovi canoni estetici coinvolsero naturalmente anche l’universo maschile, e l’uomo – comunque già da sempre apprezzato nella sua versione sportiva con la cute color cuoio – si votò rapidamente ai nuovi dettami, in modo trasversale, in tutte le classi sociali: scomparsa progressivamente l’abbronzatura “da muratore” (quella col segno della canottiera), via libera ad un aspetto omogeneamente pigmentato, e possibilmente tutto l’anno.

Si affacciò sulla scena l’uso – unisex –  delle lampade abbronzanti, e tutto sembrò una conquista: nudi al sole, o sul lettino di un centro estetico, i raggi UV naturali o artificiali garantivano bellezza e fascino.

Ma, come sempre accade nelle umane vicende, niente è così semplice e lineare, e incominciarono a rendersi evidenti i primi allarmi: l’aumento dei tumori della pelle correlati all’esposizione solare assunse, globalmente, un andamento statisticamente significativo, e non è strano che il fenomeno abbia richiesto degli anni per manifestarsi; i danni da radiazioni sono tardivi, hanno tempi di latenza lunghi, e l’irraggiamento solare potenzia i suoi effetti per accumulo.

Si fece strada però soprattutto un’altra evidenza, più subdola e sottile ma inevitabile, e fu la constatazione che tutto lo splendore della pelle soleggiata si pagava poi, progressivamente, con un danno estetico più o meno marcato, soprattutto a livello del volto: si coniò il termine di “fotoinvecchiamento” o photoaging per indicare quelle alterazioni che accompagnano, ma spesso precedono e aggravano, il naturale “cronoinvecchiamento” anagrafico…

Che fare, dunque?

Rinunciare, per prudenza, alla felicità di poter vivere al sole?

Certamente no, non accetteremo di rifugiarci nell’ombra, al buio, o di pagare le vacanze con un pesante tributo di ansie e di paure, ma sarà opportuno prendere qualche precauzione quotidiana.

Le regole di manutenzione della pelle al sole sono semplici, elementari, quasi ovvie:

  • Evitare le ustioni, non ci si deve scottare: e se proprio accade, fare assolutamente in modo che l’episodio resti unico, isolato. Non si va all’aperto a ripetere il trauma, e questo vale soprattutto per i bambini.
  • Proteggere in particolare la pelle del viso e del décolleté, sono le zone più fragili e più suscettibili di macchiarsi, assottigliarsi, segnarsi di rughe precoci. Proteggerla sempre, non solo durante le vacanze: i danni da accumulo all’esposizione ai raggi UV si stabilizzano e si rinforzano, nei mesi e negli anni, proprio perché le zone foto-esposte sono tali per tutta la vita.
  • In estate, al mare o in montagna, non esporsi al sole nelle ore centrali della giornata, e questo a maggior ragione se si soggiorna in zone più vicine ai tropici.
  • Ricordare l’esperienza comune, per averla vissuta o sentita raccontare, di un’ustione solare dopo un soggiorno in spiaggia sotto l’ombrellone: la potenza di irraggiamento viene ampliata dalla superficie riflettente della sabbia e dell’acqua.

Concludendo, quindi, possiamo avere tutto il meglio, dalle vacanze, senza pagare prezzi troppo alti direttamente sulla propria pelle.

Meglio un po’ di crema solare, e un cappello, e possibilmente anche un po’ di movimento sotto il sole, non la rosolatura stazionaria e prolungata: consideriamoci già cotti a puntino, non abbiamo bisogno di brasarci e arrostirci. E i biondo-rossi, quelli che si scottano sempre e non si abbronzano mai, non si sforzino ad oltranza di passare alla categoria dei mori, e indossino con orgoglio la propria “tintarella di luna”, come un ritratto di Rosalba Carriera.

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