Acne

   Patologia cutanea nota fin dai tempi antichi, deve il suo nome a un medico greco del III secolo a. C., e si riferisce non tanto alla morfologia delle lesioni quanto all’età di insorgenza, l’acme della vita, la pubertà: errore di trascrizione? Comunque questo nome rimane, nei secoli, e viene ufficialmente inquadrato nei trattati di medicina del XVIII e XIX secolo, per continuare ai giorni nostri.

   Malattia non contagiosa né grave, generalmente a risoluzione spontanea: ma in mezzo a queste due affermazioni c’è tutto un mondo di sofferenza e di disagio, prevalentemente adolescenziale, giovanile.

   Si tratta di un quadro infiammatorio del follicolo pilosebaceo, che si manifesta abitualmente – ma non esclusivamente – nell’adolescenza.

   Molti  fattori contribuiscono all’esordio e al mantenimento della malattia, dall’aumentata secrezione di sebo alla spinta ormonale, dalla componente genetica alle variazioni climatiche alle abitudini alimentari…  C’è una mole di studi accuratissimi e profondi su tutti questi temi, ma, come spesso accade quando la ricerca viene approfondita, si aprono più nuovi interrogativi che non soluzioni terapeutiche pratiche, immediate.

   L’acne è, e rimane, una patologia cutanea complessa, multifattoriale, con manifestazioni più o meno vistose, talvolta ricorrenti in modo che sembra irriducibile, esasperanti per il paziente, i familiari … e il curante.

   E’ comunque una patologia che guarisce. Guarisce sempre: bisogna trovare il modo di abbreviare i tempi.

   Personalmente io ho poche regole generali, anche se seguo in linea di massima i protocolli ufficiali di terapia. Ma sono del parere che in quest’ambito più che mai ogni persona può rappresentare un caso a sé, e va guardata sotto ogni aspetto, con attenzione e umiltà. E con pazienza, anche se si deve correre!

   C’è però una circostanza, che si ripete molto frequentemente e incide non poco sul decorso clinico e sui risultati terapeutici, che mi preoccupa e mi deprime, e che non riesco a contrastare efficacemente: è un’abitudine comune alla maggior parte delle persone, e consiste nell’aggressione inveterata alle lesioni cutanee. E’ una forma di autolesionismo che viene vissuta come utile e necessaria, a volte viene anche negata (“Io? No, non mi tocco mai”) oppure, se viene ammessa, si dà per scontato che sia inevitabile (“Come faccio a lasciar lì un brufolo, magari con la puntina gialla?…”): e allora via di spremitura, con forza e pervicacia, in modo che questa povera pelle, già sofferente e infiammata, venga brutalizzata fino all’estrusione di quel che si può tirarne fuori, cioè niente. O almeno, niente di utile.

   Cerco sempre di spiegare che queste manovre possono anche essere innocue, o perlomeno non distruttive, su una pelle sana e robusta che presenti solo qualche innocente ma fastidioso inestetismo, come i punti neri o comedoni aperti.

   Le lesioni elementari non infiammatorie dell’acne sono i comedoni; quelle infiammatorie sono papule, pustole, noduli, cisti.

   I comedoni si formano per l’accumulo, a livello dello sbocco del follicolo sebaceo, di sebo, cheratina, detriti cellulari; se l’orifizio follicolare rimane aperto e dilatato, si presenta come un punto nero, e il colore è dovuto a fenomeni ossidativi del contenuto. Comprimendo la lesione lateralmente, dai margini, è possibile provocare la fuoruscita di un filamento giallastro, untuoso.

Si tratta di comedoni aperti, che raramente si infiammano, e in  genere si eliminano spontaneamente, nel tempo; si localizzano su fronte, mento, guance, e anche sul naso e nella conca dei padiglioni auricolari.

   Quando lo sbocco follicolare non è aperto e dilatato, si parla invece di comedoni chiusi, egualmente formati da un “tappo” di sebo, cheratina, e colonie batteriche. Hanno l’aspetto di microcisti madreperlacee, e sono stati definiti “bombe a orologeria” dell’acne, in quanto, se vanno incontro a rottura della parete, innescano quei fenomeni infiammatori che portano alla formazione di papule e pustole.

   Ecco perché è opportuno non stuzzicare una cute che ha qualche problema!

   (Devo dire che, nella mia esperienza, è un comportamento prevalentemente femminile, quello di andare a “pulire” la pelle con manovre di attacco. In genere, l’uomo è più indifferente; le donne, molto spesso, tendono non solo alla distruzione delle lesioni proprie, ma inseguono anche quelle altrui: corse e agguati familiari per raggiungere marito, figlio o fratello e “liberarlo” – per il suo bene! volente o nolente –  di cisti, foruncoli, punti neri…).

   Cerco sempre di spiegare alle persone che è meglio non toccare la pelle, soprattutto quando è sofferente, alterata: bisogna aiutarla a guarire, non brutalizzarla. Ma non so se, in tanti anni, sono mai riuscita a convincerne qualcuno.

   Ricordo che un mio illustre collega inglese, punto di riferimento nei protocolli dei trattamenti anti-acne, aveva affermato, a un congresso europeo di Dermatologia, che non accettava mai di tenere in terapia un paziente acneico che aggrediva le proprie lesioni.

Mah! Può darsi che preferisse non avere a che fare con gli acneici, o forse era particolarmente bravo e convincente, oppure lo erano i suoi pazienti nel recitare un ruolo di innocenza.

   Personalmente, io cerco di non opporre rifiuti a chi chiede di essere curato, anche se gradirei un po’ di collaborazione, nell’interesse comune.

   In fondo, perseguiamo lo stesso scopo: trattare la pelle al meglio, per vederla quieta e bella, nel più breve tempo possibile.

Cute e nutrizione

 

 

Che una corretta e sana nutrizione influisca positivamente sull’aspetto della cute è una certezza, così ovvia che sembra quasi superfluo ribadirla.

Negli ultimi anni si sono però ulteriormente approfondite le conoscenze della struttura e dei meccanismi funzionali dell’apparato gastrointestinale, e in particolare sono emerse nuove acquisizioni sull’ intestino, che ha un suo corredo di batteri (miliardi: più batteri che cellule) ed è un corredo personalizzato, ogni individuo ha il suo: si parla di microbioma umano, che si forma già durante la gravidanza e nei primi 2-3 giorni di vita, e che permarrà per sempre.

E’ stata dimostrata la correlazione tra il microbioma e il sistema immunitario, e come questo fattore possa incidere anche nel trattamento e nella prognosi di alcuni tumori (studi recenti sul melanoma).

Tornando comunque all’esame della cute, osservandola con un po’ di esperienza e di attenzione noi possiamo dedurre anche le abitudini alimentari della persona, soprattutto se queste abitudini sono deviate, e prolungate nel tempo.

Già il semplice colore della pelle può darci un’idea:

ad esempio, l’aspetto congestizio, di pastosità rubizza, del bevitore  (questo almeno in fase iniziale, florida; nel bevitore inveterato, in fase avanzata, la cute può presentarsi ingrigita e rinsecchita);

il pallore etereo, trasparente, quasi cilestrino di chi è anemico, malnutrito

Possiamo quindi cogliere delle manifestazioni cutanee che sono espressione di una alterazione quantitativa: da sovrappiù, o da carenza.

Il quadro da eccesso  di alimentazione è appannaggio delle nostre zone  e dei nostri tempi: si mangia troppo, e cibi troppo ricchi. E la cosiddetta “sindrome da frigorifero pieno” coinvolge praticamente tutti gli organi e apparati, cute compresa.

Le carenze nutrizionali possono coinvolgere l’apporto globale del cibo,  c’è ancora buona parte dell’umanità che soffre la fame:

fino al marasma, con  la cute che  diventa sottile, pallida, fredda;  i capelli  e le unghie  secchi e fragili;

o al kwashiorkor – tipicamente infantile – con addome globoso, edema del volto (facies lunare), con dermatosi eritemato-cianotica ad aspetto lucido,  “verniciato”;

kwashiorkor

(Abbiamo spesso immagini strazianti di bambini malnutriti: questi almeno ci portano anche un messaggio di speranza, con il loro sorriso, nonostante tutto)

 

Anche l’anoressia e la bulimia – non rare nella nostra civiltà, quasi contraltare alla “sindrome da frigorifero pieno” –  configurano un quadro di carenza dietetica globale, e si arriva quindi alla comparsa di cute secca, anelastica, sottile, desquamante; di alopecia diffusa; più rara, ma possibile in alcuni soggetti, una forma di seborrea paradossa, con squame cutanee ceree, cretacee, soprattutto ai margini del capillizio.

Nelle nostre zone, però, a parte quest’ultimo quadro dell’ anoressia,  le carenze sono in genere selettive, legate ad alimentazioni non bilanciate, o ad un’epatopatia alcolica, più raramente ad un disturbo metabolico congenito o ereditario, o iatrogene per l’uso di pillole dimagranti, diuretici, lassativi…

I più noti disturbi cutanei da carenza sono legati all’apporto inadeguato delle varie vitamine, e la conferma diagnostica avviene principalmente con il criterio cosiddetto ex iuvantibus, si assiste cioè alla scomparsa dei sintomi somministrando la vitamina carente.

 

Un tipico quadro da carenza è la pellagra, che fortunatamente si può ormai dire storico, antico e superato: si trattava di una forma diffusa, così estesa tra Veneto, Friuli e Lombardia, circa un secolo fa,  che pareva quasi avere andamento epidemico. Il nome è proprio descrittivo di come si presenta la malattia, con pelle “agra”, secca, di aspetto arrostito, ad esordio tipicamente acuto in primavera, perché la luce solare fa da fattore scatenante delle manifestazioni cutanee.

Era la sindrome delle 3 D : dermatite, diarrea, demenza;

ma divenne a 4 D per gli anglosassoni, in particolare per gli americani, che ci aggiunsero la D di “death”, dato il frequente riscontro di casi mortali.

In Spagna era stata identificata e descritta già nel 1735, con il nome di mal de la rosa, ma fu tra il XVIII e il XIX secolo che colpì gravemente le popolazioni rurali del nord Italia e in particolare quelle più povere del Veneto e del Friuli. Nel 1804 – 1805 il governo austriaco, che allora dominava quella parte di Italia, promosse una ricerca nelle province di Treviso e di Padova, la cui conclusione fu che non si trattava di malattia infettiva né ereditaria, ma dipendeva dall’alimentazione a base di granturco: era la malattia dei mangiatori di polenta, e non era tanto la polenta responsabile dei guai, bensì il fatto che non mangiassero praticamente altro.

polenta

Ma bisognava arrivare al 1937 perché  lo statunitense Conrad Elvehiem dimostrasse che esisteva un fattore dietetico, la nicotinamide, capace di prevenire la pellagra, da cui appunto il nome di Vitamina PP (Pellagra Preventing).

Abbiamo quindi sfiorato l’argomento dell’impatto nutrizionale sull’espressione cutanea, con qualche cenno, a grandi linee, su alterazioni   correlate al versante quantitativo, ma sarà certamente oggetto di nuovi richiami, settoriali e dedicati a patologie specifiche:

conoscere il linguaggio della pelle per capire l’interno, soprattutto quando qualcosa non va… E viceversa.

* intus et in cute, dentro e sulla cute : ricordiamo l’affermazione del poeta latino, anche se  essa ci viene tramandata, da quasi duemila anni, più nella sua accezione morale che altro (conoscere qualcuno profondamente, nel corpo e nell’anima…)

 

* ego te intus et in cute novi”    (Aulus Persius Flaccus, 34 – 62 d.C.)

 

 

 

 

 

 

Conoscere la pelle

 

   Grande tema, quello della conoscenza, grande e  difficile

   Cosa vuol dire conoscere ?

   Conoscere significa apprendere e ritenere nella mente una nozione, essere in grado di intendere, di capire

   Avere notizia di qualcosa, sapere che c’è: conosco la musica

   Vuol dire anche riconoscere: nel dolor si conosce l’amico

   riferito alle persone, significa sapere chi siano;

   riferito a se stessi – conoscersi – vuol dire essere coscienti del proprio carattere, della propria indole.

   Nosce te ipsum, dicevano i latini, che l’avevano tradotto dal greco;  e Socrate ne fece la sua massima preferita, come invito a considerare i limiti della conoscenza umana.

   E certamente, una delle imprese più difficili – non basta l’impegno di  una intera vita…  – è quella di conoscere  se stessi, valutare i propri moti dell’anima, e tutto quel mondo di emozioni e pulsioni e sentimenti che ci fa essere quel che siamo

qualche volta non siamo prevedibili neanche a noi stessi, e può accaderci di restare disorientati dalle nostre stesse reazioni

   Quando invece consideriamo la parte esterna, visibile, il primo impatto con una persona lo abbiamo dal suo involucro, e l’ involucro – più o meno rivestito –  è la pelle, quest’organo così grande, solo apparentemente semplice e omogeneo, ma in realtà così complesso, mediatore tra il dentro e il fuori, certamente non solo rivestimento e organo di barriera, a confine e a difesa dal mondo esterno, ma anche di comunicazione e scambio, capace di grandi sbarramenti ma anche di cedimenti e di rovinose disfatte, come tutti i nostri organi…:

solo che, qui, ogni cosa si vede

   imparare quindi a conoscere il comportamento della pelle, e cercare di capire quali meccanismi la fanno funzionare al meglio o, viceversa, ne alterano le qualità e la danneggiano, può essere una buona strategia per affrontare i problemi e risolverli.

   Certamente tutti sappiamo, l’umanità lo ha imparato nell’esperienza e ciascuno di noi può capirlo – letteralmente sulla propria pelle – che alcune sostanze la danneggiano in modo diretto:  non abbiamo dubbi che un acido, o la soda caustica, la brucino, e dolorosamente abbiamo scoperto che non sopporta il fuoco o l’acqua bollente…

ma siamo arrivati più lentamente ad alcune nozioni, per esempio che ci si può intossicare, attraverso la pelle, fino a morirne, e che non si può verniciarla e chiuderla  in modo impermeabile.

   Che dire poi di tutta la problematica, attualissima, delle allergie da contatto?

   Siamo continuamente esposti a sostanze note o di nuova sintesi, nell’ambito del viver quotidiano o più strettamente professionale, e la pelle ha veramente il suo bel da fare, a riconoscere e distinguere quel che le aggrada e quel che le nuoce, e certamente noi non la aiutiamo, lavandola troppo o esponendola troppo al sole o impoverendola anche dal didentro, con un’alimentazione squilibrata, o con farmaci…

Una grande guerra, insomma, eppure la pelle, quando è intatta, quando sta bene, affronta tutto questo e se la cava egregiamente

   Può  accadere però  che parta svantaggiata fin dall’inizio, quando  sia strutturata in modo da  perdere il suo equilibrio, e da alterarsi anche ripetutamente e vistosamente, per predisposizione genetica.

E fra i due estremi – la risposta alle aggressioni fisiche, o chimiche, o microbiche – e le malattie ereditarie, ci sono le forme  combinate e sovrapposte…

   Perché come sempre è valido l’antico assioma “io sono io, più le circostanze”, e ciascuno di noi deve continuamente confrontare la propria personale struttura con l’ambiente circostante.

 

 

Web log, diario in rete

La premessa suggerisce di dichiarare perché si inizia un blog: più che giusto, è sempre una buona cosa chiarire le proprie intenzioni, esprimere apertamente perché mai si ritenga di aver qualcosa da dire. E’ una corrente di pensiero particolarmente presente nella nostra civiltà e nei nostri tempi: bisogna parlare, dire, spiegare… (anche se, forse, qualche parentesi di silenzio e riservatezza potrebbe essere gradita) ma in realtà corrisponde al bisogno universale e senza tempo di ogni essere umano, che non vuol passare senza traccia sul percorso della vita, vuole parlare di sé e dei suoi pensieri. Perché non succeda come in quella battuta di un fine umorista – e mi dispiace non ricordarne il nome – a proposito della scritta su una lapide: “Nacque nel 1935, morì nel 1991. La sua vita era la virgola”.

Comunque sia, eccomi qui con il mio blog.

Per prima cosa sono andata a controllare cosa significhi blog, e ho visto che si tratta della contrazione di web log, ovvero “diario in rete”.

E allora, per iniziare, riporto qui proprio una pagina di diario. Risale a una decina di anni fa, ed è stata pubblicata sull’Agenda DDI (Donne Dermatologhe Italia) del 2007/2008 

 

 ” Donna, dermatologa:  due “qualifiche” che certamente esprimono la mia essenza, il mio significato.  A tal punto, che di solito non ho neanche bisogno di pensarci.   Geneticamente predeterminata la prima e acquisita per scelta la seconda, entrambe fanno di me quella che sono e, per felice combinazione, la loro ineluttabile realtà mi è diventata, negli anni, sempre più appagante.

   Medicina all’ Università di Padova. Mio padre muore quando sono solo al I anno; grazie mamma per il tuo sostegno sorridente e fiero,  mentre c’era ancora chi scuoteva il capo: “Far studiare una donna…e poi, medicina: uno spreco. Si sposerà, la  laurea finirà in cucina…”. Invece, paradossalmente – quasi una nemesi, questa discriminazione positiva – entrerò subito nella professione, e in Dermatologia,  anche per il fatto di essere  donna:  un Primario dermatologo cerca infatti una dottoressa, per  completare la sua équipe.

   All’ultimo anno di Facoltà, considerando una possibile specializzazione, ero decisa solo ad evitare quelle settoriali per sesso e per età, volevo esserci per ogni tipo di paziente, maschio femmina o incerto, e dal neonato in su: trattare la pelle mi consentirà questo iter professionale, va bene.

   E allora, la Scuola e la corsia, uno splendido coinvolgente costruttivo periodo di impegno e di fatica e  di entusiasmo; sul versante personale, l’incontro con l’Amore (quello che poi avrebbe rovinosamente perso la maiuscola, ma allora non lo sapevo), la Maternità (questa sì maiuscola per sempre, con Damiano e Alessandro); e, dopo 7 anni, la decisione di lasciare l’Ospedale:  libera professione, e un incarico di consulenza all’ INAIL.

   Ma qui scopro che c’è tutto un mondo che non conosco, legato alle patologie professionali. Voglio saperne di più per meglio capire e interpretare quello che può colpire la pelle in questo complesso e variegato settore, e mi indirizzo alla Medicina del Lavoro:  difficile entrare in Specialità, difficile riprendere a studiare per gli esami (è vero, non finiscono mai) ma alla fine conseguo anche questa specializzazione e le malattie cutanee occupazionali diventano il mio principale obiettivo di attenzione e di ricerca,  allergologia professionale inclusa.

   L’aspetto più interessante di queste attività è che il campo di azione si restringe solo apparentemente, in realtà l’approfondire un settore porta a vedere dettagli che prima sfuggivano, le prospettive cambiano e si aprono nuove vie:

qui incontro pazienti che pagano sulla propria cute, in presa diretta, un rischio ambientale specifico e concentrato, ma che a volte presentano,  a corredo della lesione, anche tutta la variegata sintomatologia tipica di  una “sindrome da indennizzo”;

qui approfondisco le mie nozioni di chimica, e  cerco di capire come le diverse formule  possano far vivere alla pelle un incontro indifferente, o  aggressivo, o sensibilizzante;   oppure, al di fuori del settore lavorativo, un incontro… d’amore, con risultati,  se non terapeutici, almeno migliorativi, cosmetici:  e così,  le schede di sicurezza dei materiali usati in alcuni cicli tecnologici, che  mi guidano ad individuare il rischio dermatologico negli addetti, possono aiutarmi anche a valutare  la composizione dei rimedi proposti per malattie cutanee e inestetismi.

   E adesso che ho provato a tracciare un riassunto di me – dispersiva e vaga, stilare un abstract mi riesce sempre difficile – devo prendere atto che ho percorso oltre trent’anni nella professione medica, con tutte le vicissitudini che un tale tragitto comporta, i momenti di stanchezza e il vivere di corsa, le emozioni appaganti e le delusioni,  il timore di sbagliare e le intuizioni folgoranti…

   Proprio una lunga storia. Non idilliaca, non semplice e scorrevole – niente mi è stato regalato, e ci sono stati anche  i mugugni e le ribellioni e gli “adesso pianto tutto e me ne vado” – eppure, non posso non sentirla come un dono.

    E’ la mia realtà, in essa mi identifico e mi riconosco: una donna dermatologa.

   Meglio ancora –   per usare la definizione cui spesso ricorrono i pazienti –  … una dottoressa della pelle.”

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Primo articolo del blog

 

   Il primo impatto con la pagina bianca è sempre emozionante: e adesso, cosa scrivo?       Certamente parlerò di me, ma soprattutto della mia professione, perché in realtà coincidiamo quasi totalmente.

   Per mia grande fortuna, continua ad affascinarmi quella branca della medicina in cui mi sono specializzata, la Dermatologia: guardare la pelle, e cercare di leggervi tutto quello che essa ci racconta, nel bene e nel male, è sempre una grande avventura.  E poi è profondo e coinvolgente il suo ruolo, involucro che raccoglie una persona, con tutto il suo mondo, capace di isolare e difendere e proteggere, ma anche di rispondere ai messaggi che le arrivano dall’ambiente esterno e a quelli che partono dal suo contenuto…

Bene, procederemo su questa strada, e spero sia un bel percorso